MARCELLO D'ARCO
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Inquietudine, eclettismo, creatività, tre caratteri che marcano nel profondo il profilo ed il percorso di Marcello d’Arco.

Elbano ( l’insularità e’ un’altra nota acuta del suo modo di essere),con un curricolo di studi liceali ( ha frequentato il classico “R.Foresi” di Portoferraio negli anni 50’), ha conosciuto a Firenze ( nel corso degli studi universitari poi interrotti) la realtà di una città d’arte.
A questa esperienza determinante risale, se non l’interesse per le arti figurative già preesistente, il bisogno di misurarsi con la tecnica pittorica e di tentare le vie dell’espressione personale.
Il percorso e’ ormai virtualmente segnato, ma non segue una traccia lineare.

Proprio quella versatilità di interessi che, fra l’altro, lo vede assorbito per alcuni anni anche nel giornalismo, sembra sfocare l’aspirazione artistica.
Ma e’ solo un temporaneo smarrimento.
E, in definitiva, un contributo di nuove esperienze.
Nel tempo la vocazione per la pittura”viene fuori” in modo prepotente ed assume la dimensione dell’impegno sistematico.
La ricchezza dei riferimenti culturali e l’innato sperimentalismo lo affrancano progressivamente dai modi della tradizione macchiaiola, radicata all’Elba come del resto della provincia livornese.

Fin dalle prime mostre, Marcello d’Arco si segnala per una ricerca aperta agli stimoli dell’arte moderna e contemporanea che lo porterà man mano al conseguimento di una cifra originale.
Significative, al riguardo, la personale del 1991 e soprattutto “La citta’, riflessi, prospettive” allestita nel 1993 nella Torre del Martello.
Da allora Portoferraio-Cosmopoli, l’antica città disegnata per Cosimo 1° de’ Medici dagli architetti Camerini, San marino e Buontalenti, con le sue geometrie e simbologie diviene il tema più congeniale e ricorrente, espressione di un rapporto sofferto e ambiguo, di adesione appassionata e di smontaggio critico.

Esattamente agli antipodi della Portoferraio un po’ bozzettistica ed oleografica quale era stata consegnata nel cliché dei figurativi.
Le linee, i volumi e le prospettive della città sono audacemente manomessi con un dinamismo drammatico che tende sempre alla sintesi. Il colore è, a sua volta, tutto compenetrato e funzionale al racconto pittorico. Azzurro, oltremare, cobalto, verde, sono, in particolare, le note più profonde e vibranti.

Istintualità ed equilibrio creano una suggestione di atmosfere mediterranee.


Uberto Lupi

               L'UNICITÀ DI PORTOFERRAIO (E DELL'ELBA) NELLA PITTURA DI MARCELLO D'ARCO

La lezione del futurismo, acquisita con la frequentazione giovanile dell'artista istriano Gonni Gonnich col quale fondò il gruppo “Artisti all'Elba”, spunta chiara, certo rivisitata dalla sensibilità personale, nella bella mostra di Marcello D'Arco godibile fino a domenica prossima a Portoferraio.

La scomposizione delle forme, le forme conosciute e quotidiane della Cosmopoli medicea e del suo contesto di mare, diventa la magia per farle percepire di nuovo al passante che chatta a testa bassa, all'amministratore distratto poichè – ed è l'ironico quadro del geometra a mollo e decollato a suggerirlo- l'unicità della città medicea merita un'attenzione costante e maggiore.

Dichiarata l'influenza di Paul Klee per “l'uso del colore e la sua ricerca di una sintesi fra disegno e pittura”.
Come Boccioni nel 1910 dipingeva la movimentata 'Città che sale' sbirciando la propria Milano dal terrazzo di casa, D'Arco ha fatto con i bastioni intravisti dalle feritoie del Forte Inglese, per molti anni sede del proprio studio, affascinato dai rapporti spaziali della città di Cosimo.

Nelle vele sovrapposte di una possibile regata, nel gioco geometrico di barche, nei pini solitari come nella spiaggia vista dall'alto ci sono la luce e i colori che si impastano con la città, nell'eterno gioco con le ombre, certo anche interiori.
L'arte come necessità si percepisce e incanta.


I toni della tavolozza più nota di Marcello d’Arco: dal bianco luminescente all’azzurro, al turchese, al blu nel dipinto “IL SOGNO DEL GEOMETRA”.

Cielo e mare, nei suoi quadri, possono confondersi e sostituirsi ma qui c’è il taglio netto dell’orizzonte. Il geometra è una testa che emerge dall’acqua, sull’ orizzonte. I
l corpo è una approssimativa sagoma a braccia aperte, separata dalla testa, si sovrappone al mare. Forse il geometra non sa nuotare.
Possiamo immaginare sia la spiaggia delle Ghiaie, luogo mitico dell’ infanzia di ogni portoferraiese.
Se si tratta delle Ghiaie, il geometra guarda verso l’occidente, verso un invisibile Capobianco. Il “sogno del geometra”è il titolo dell’opera che sintetizza la mostra (Dipinti 2009-2016).

C‘è dell’ ironia nell’ immaginare un geometra portoferraiese che non sa nuotare.
Ma l’autore ci invita a riflettere.
Sulla perdita di radici, identità.
Un male che, in qualche misura, colpisce forse lui stesso, così come colpisce gli stessi suoi concittadini.
In un’ isola d’Elba uniformata dall’ offerta di servizi turistici, Portoferraio spicca comunque per la sua unicità.
Una unicità, però, troppo spesso ignorata, mal raccontata. Sottovalutata.
Dagli stessi portoferraiesi. Eppure solo i portoferraiesi possono raccontare il segreto fascino della loro città.

Portoferraio: un antico insediamento romano.
E poi soprattutto la meravigliosa città fortificata voluta da Cosimo de’ Medici: Cosmopolis, progetto di una città ideale. Le tracce nel tessuto urbano della breve ma intensa presenza di Napoleone.
Porto naturale unico al mondo.
Un profilo inconfondibile –Portoferraio osservata dall’altro lato del Golfo-ritratto da Telemaco Signorini e da Paul Klee. Si potrebbe pensare che, nel ritrarre Portoferraio, non c’è novità possibile.
E che c’è spazio oramai solo per immagini oleografiche, cartolinesche.

Marcello d’ Arco - forte anche di una solida conoscenza della storia e dell’architettura della sua città ma anche sempre disposto d accettare la visione, l’incanto- è sempre andato oltre.
Ecco così nei suoi dipinti Portoferraio come cascata di volumi cubisti, giù verso il mare.
Portoferraio sporta sull’ acqua ma serrata nei bastioni a picco sull’ acqua.
Città protetta, segreta.
Città osservata da prospettive inusitate, vista dall’alto come astronave – ben prima che banali droni permettessero sguardi dall’alto - l’artista aveva saputo immaginare.


I blocchi crollanti sono una prosecuzione, senza soluzione di continuità, di forme geometriche di colore: i colori del cielo e del mare confusi con il rosa e il giallo delle case di Portoferraio, con l’ocra e il mattone delle fortificazioni.
Non crediamo irrilevante il luogo dove Marcello d’Arco ha creato le sue opere: il suo studio al Forte Inglese apparteneva pienamente a questa storia urbana, alla Portoferraio medicea, al porto senza uguali.
Con sempre presente un qualcosa di fatiscente, non per questo meno nobile.
La volta a botte dello studio, la luce della finestra sul fondo: il luogo era consono alla generazione di queste opere, di queste immagini della città.
Non ripetizioni ma variazioni.
Perché lo sguardo è sempre errabondo e cambia la luce con il trascorrere delle ore ed il mutare del clima.
Città che è sempre anche città interiore.
Luogo del ricordo e del sogno.


Ma vicende della vita hanno allontanato il pittore da quel luogo.
E quindi da questa Portoferraio immaginata e fermata sulla tela.
Come ricominciare e da dove.
Ecco, dunque, il SOGNO DEL GEOMETRA.
Opera anomala nella produzione di Marcello d’Arco.
Momento di passaggio. I colori del cielo e del mare sono qui presenti nella forma strutturale più semplice: strati.
La spiaggia, la terra è il lieve strato di colore in basso, sul quale si appoggia la costruzione.
Lo sguardo del geometra, misterioso, possiamo immaginare sia anche lo sguardo di Marcello d’ Arco che esplora un nuovo, diverso modo di esplorare il suo mondo.
La mostra ci offre opere nelle quali si coglie l’inconfondibile nota mano dell’artista, le immagini della città tra i due mari, cristallina nella purezze delle forme, osservata attraverso una finestra dalle tipiche persiane.
Ma ci offre anche opere di una sofferta ripartenza, tentativi di nuove vie.
Nello sguardo che osserva dall’alto la spiaggia del Forno, forme tondeggianti, serpeggianti, in luogo dei blocchi e dei geometrici spigoli vivi.

La geometria portata all’estremo: barche di legno e barchette di carta, giocosamente giustapposte, formano una stella.
Portoferraio c’è ancora. Il mare e il cielo, ancora, non sono separati da confini: possono ancora invertirsi.
Ma ora, al posto del chiarore, dell’azzurro e del turchese, stanno colori lividi.
Cambia la vita dell’artista e cambiano i colori.
La terra bruciata è il punto di partenza per inoltrarsi oltre l’ocra verso la testa di moro, i diversi toni del bruno, il rosso scuro, la notte.
Fino alla monocromia del “ Duomo”.

Osservando questa Portoferraio non sappiamo quando tornerà una luce più serena.
Eppure ogni dipinto è sempre organizzato attorno ad un punto centrale.
Un luogo di irradiazione della luce.


Francesco Varanini

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Marcello d'Arco nasce a Portoferraio, Isola d'Elba, nel 1940.
Autodidatta, dopo una mostra estemporanea nel 1977, allestisce la sua prima personale nel 1991. All'attività di pittore affianca quella di giornalista.
Le sue opere figurano un collezioni private in Italia e all'estero.
Vive e opera a Portoferraio.
La poetica di Marcello d'Arco si pone come la posta in gioco di questo incontro.
Il pittore dichiara di non essersi mai interrogato sul suo modo di fare arte.
Nella sua affermazione la testimonianza che la poetica può essere indipendente dalla consapevolezza che il creatore dell'opera ne possa avere.
Se c'è l'opera, afferma Luciano Nanni, la poetica non può mancare.
L'intervista diventa allora un tentativo di esplicitazione di un metodo operativo da cercare nel confronto tra l'opera e l'artista.


D. Marcello, come è avvenuto l'incontro con la pittura?

R. Due sono stati gli incontri fondamentali.
Prima di tutto il futurismo che ritengo ci abbia consegnato un messaggio per molti versi ancora valido Sono venuto a contatto con il futurismo attraverso Gonni durante un suo soggiorno all'Elba.
Gonni Gonnich, istriano e elbano di adozione, ", è stato a partire dagli anni '50 un punto di riferimento degli intellettuali e artisti che hanno frequentato l'isola.
Insieme abbiamo fondato il gruppo "Artisti all'Elba.
L'altro pittore che ha fortemente segnato la mia scelta artistica è stato Paul Klee.
Di quest'ultimo mi ha particolarmente colpito l'uso del colore, la sua ricerca di una sintesi fra disegno e pittura.
Non meno importanti ritengo siano stati Feininger, Afro e De Stäel.
L'inizio vero e proprio della mia attività di pittore invece s'intreccia strettamente al mio vissuto qui all'Elba, nella frequentazione delle bettole dove è avvenuto l'incontro con un pittore, Del Buono, una personaggio particolare anche per una menomazione fisica, che mi ha prestato i primi colori e pennelli. Non posso dire che mi abbia insegnato a dipingere, ma mi ha comunicato la stranezza e la fantasia del vivere l'arte.
E' in questo stesso ambiente che ho conosciuto Francesetti, autodidatta anch'egli ma con una personalità indubbiamente più complessa e più ricca artisticamente. Nei miei primi quadri si ritrovano i frequentatori di quel mondo di emarginati, anziani, lo stesso Del Buono.
Il duomo Il duomo

D. Il fatto di essere un autodidatta ti ha forse agevolato nel percorrere una via del tutto personale, in aperta indifferenza verso quelle che sono le tendenze dominanti dell'arte contemporanea, le avanguardie artistiche che si sono spinte fino alla distruzione del concetto corrente di pittura. Come ti poni nei confronti dei pittori, contemporanei o del passato e in che modo ritieni abbiano influito sulla tua visione e produzione artistica?

R. Alla base del mio modo di fare pittura c'è la scelta di amare il moderno, un certo moderno dai postimpressionisti in poi, dimenticando volontariamente i grandi della pittura. Ricominciare da Picasso, Cezanne, i fauves e quindi il futurismo inteso come il movimento della novità, della forza, della modernità.
Ciò che mi muove in fondo è la novità, il desiderio di immedesimarsi, la volontà di spaccare le cose nella consapevolezza di riuscire a vedervi qualcosa di più.
Un atteggiamento analogo ha accompagnato il mio lavoro di giornalista, anche se apparentemente l'impegno al giornale può sembrare aver tolto tempo e attenzione all'arte.
Per me la pittura è cronaca, è vita.
Un pittore non cambia il suo modo di guardare e quando si relaziona al mondo, in qualunque modo lo faccia, lo fa con i propri occhi di artista.
E' istintivo.
Il mio impegno di lavoro invece è andato a interferire negativamente sullo sperimentare tecniche di avanguardia in quanto mi ha sottratto il tempo necessario.
Ho in qualche modo ottimizzato il tempo lavorando su cose che già sapevo fare e la sperimentazione è avvenuta all'interno di un mio percorso personale. Paesaggio strutturale Paesaggio strutturale

D. L'insularità è una nota dominante della tua pittura e forse del tuo carattere di uomo e artista allo stesso tempo che vive e opera in un contesto come quello dell'Isola d'Elba. Isola può diventare allora sinonimo di isolamento, estraneità ai percorsi fondamentali dell'arte contemporanea anche per la mancanza di contatti interpersonali reali vissuti nella frequentazione dei luoghi di produzione artistica. Come vive un artista all'Isola d'Elba?

R. Devo premettere che la mia scelta nei confronti dell'arte è avvenuta non più giovanissimo e ha dovuto convivere, a volte con difficoltà, con decisioni precedenti quali il lavoro e soprattutto la famiglia.
Una scelta non facile vissuta, in uno stretto rapporto emotivo talvolta contraddittorio, ambiguo, con la mia isola, in particolare la mia città, Portoferraio, luogo di evasione e prigione allo stesso tempo. Naturalmente il fatto di vivere lontano dai luoghi in cui operano altri pittori ha influito non poco sulla mia maniera di dipingere che sarebbe stata sicuramente diversa se si fosse sviluppata a contatto con altri artisti, ma ha anche permesso di portare avanti un discorso personale, in completa autonomia da modelli.
Il sogno di Cosimo Il sogno di Cosimo

D. E' innegabile, anche da uno sguardo superficiale alla tua produzione, che Portoferraio è uno dei soggetti privilegiati dei tuoi quadri. L'antica Cosmopoli, progettata per Cosimo I° de' Medici dagli architetti Camerini, Sanmarino e Buontalenti, esempio della razionale funzionalità di una perfetta macchina fortificatoria, sembra diventare nei tuoi quadri un oggetto da scomporre e ricomporre in un gioco complesso di demoltiplicazione degli spazi e dei volumi, in cui la forma del colore è essa stessa struttura nella continua ricerca di sintesi sempre nuove tra realtà e memoria.

R. Cosmopoli, questa città del Cinquecento, percepibile ancora in gran parte, per me rimane una cosa strana in qualche modo inesauribile.
Sentita a volte come una condanna che mi sento costretto a vivere.
E' un interesse che nasce anche dal fatto di aver studiato a lungo la storia di Portoferraio, una città che ancora mi stupisce per come è stata costruita.
La cosa che più attira la mia attenzione sono i suoi rapporti spaziali.
Anche gli studi fatti sul granito si richiamano con evidenza ai volumi di Cosmopoli.
Forme rievocate attraverso la memoria e quindi manipolate in un lavoro che avviene quasi sempre lontano dall'oggetto ritratto.
Dipingo quasi esclusivamente nel mio studio, che non a caso è un forte. Un edificio costruito nel 1700, due secoli dopo Cosmopoli.
Dalle feritoie si vede il fronte d'attacco che è uno dei miei soggetti preferiti.
E' qui che si compie una sorta di "violenza" sull'oggetto che viene girato, smontato, ricombinato, tirato, piegato, allungato, rovesciato lottando contro la resistenza che esso oppone alla mia manomissione, quasi cercasse di difendere una sua identità che riemerge alla fine in una Portoferraio trasfigurata ma pur sempre leggibile.
In questo quadro, che ho chiamato Prisma armato è venuta fuori una darsena che è un satellite, potrebbe essere una città del 3000 o del 3000 avanti Cristo.
Prisma armato Prisma armato La gestazione di un quadro può impegnarmi per molto tempo, anche in maniera discontinua.
Le scelte accompagnano il mio lavoro generandosi le une dalle altre, imposte dalla materia che si sta coagulando nell'opera finita, finchè il quadro non è compiuto.
A volte è solo alla fine che decido in quale direzione va visto il quadro.
Tornare più volte su uno stesso lavoro anche dopo lunghi intervalli di tempo fa parte di questa operazione di manipolazione della realtà che diventa anche manipolazione del tempo, del mio in particolare e dell'opera.
L'opera cresce con l'artista e l'artista con l'opera in uno scambio continuo.
Questo avviene sia nello spazio relativamente breve della creazione di una singola opera che nei tempi lunghi della mia esperienza di pittore.
Attraverso i miei quadri è possibile cogliere l'evoluzione di un modo di intendere e fare pittura: da un'iniziale preoccupazione nel trovare la verosimiglianza alla ricerca della sintesi verso una prospettiva tendente sempre più all'astrattismo. Proxima centauri Proxima centauri

D. La sintesi attraverso la ricerca di nuovi equilibri di forme e di colori. In questo processo l'uso che fai della macchina fotografica sembrerebbe porsi come il primo gesto di manipolazione dell'oggetto da ritrarre. Vuoi raccontare con quali tecniche realizzi il tuo progetto artistico?

R. Due ordini di motivi sottendono l'uso dell'obiettivo fotografico.
Uno pratico legato alla disponibilità di tempo, con cui mi trovo sempre a fare i conti, e uno direi ideologico.
La fotografia non mi serve per trovare una maggior aderenza alla realtà.
Non è questo che cerco.
Essa stessa finisce per deformare la realtà proprio per il modo in cui io la uso, in maniera non professionale, quasi empirica, emozionale. Il grandangolo, ad esempio, restituisce un'immagine della realtà che è già fortemente segnata.
In questo senso la fotografia diventa un pretesto, non diversamente da quando inizio un'opera direttamente segnando poche tratti su una tela.
Gesti da cui comincia un lavoro di composizione che procede per sovrapposizioni spaziali e temporali di linee e colori.

D. Qual'è la tua visione dell'arte? L'arte è cultura?

R. Se intendiamo la cultura come un libro sempre aperto di continuo apprendimento.
Sì, l'arte è cultura.
E' comunicazione.
Ma è anche un divertimento dell'anima e una necessità.
Portare a temine un dipinto raggiungendo in esso il compimento di un percorso che è anche una ricerca è come trovarsi in uno stato di grazia, una sorta di "ebetudine".
In questo senso l'arte può essere considerata fine a se stessa.
Un cammino intimo e personale dell'artista non condivisibile con nessun altro.
In fondo non mi sono mai posto il problema che i miei quadri fossero o meno capiti dal pubblico. Naturalmente non sono insensibile all'apprezzamento, ma questo in alcun modo ha mai influenzato il mio modo di intendere e fare arte.

D. Voglio infine interrogarti sul presente e sul futuro dell'arte.

R. Oggi non si può fare a meno di associare l'arte al sistema economico.
In questo senso si deve parlare di sfruttamento dell'arte più o meno cosciente.
Ritengo che sia un'operazione fatta a tavolino guidata e sostenuta da interessi commerciali.
Il valore di un artista è soprattutto il suo valore commerciale e quindi legato a interessi di mercato.
La sua notorietà è un fatto prima di tutto economico.
Il disinteresse delle amministrazioni nei confronti dell'attività degli artisti ne è una prova.
Fatto che si sente in particolare qui all'Elba, un contesto che vive quasi esclusivamente sul turismo, sorretto da una politica che privilegia le iniziative che abbiano finalità di investimento commerciale.
Per quanto riguarda il futuro dobbiamo avere fiducia nelle nuove generazioni.
L'arte tende a distruggere le cose che possiede per poi ricercarle.
L'uomo nell'arte ripercorre emotivamente la sua storia.
Il fatto di guardarla non con gli occhi ma con il cuore fa sì che gli appaia sempre diversa e i percorsi usati diventino nuove avventure in mondi imprevedibili.
Non riesco a immaginare in quale direzione spirerà il nuovo vento ma non passerà molto tempo.
L'arte è anche e soprattutto una necessità.

Lo so che è l'ora


Loredana Mazzei,
Intervista a Marcello D'Arco - novembre 2002

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